mercoledì 31 dicembre 2014

Felice 2015!

“Primo proposito, rinnovabile 365 giorni all’anno: commettere errori di felicità.”

— Massimo Bisotti


Letto inter nos

 Da qualche parte nell'Universo esiste un mondo non visibile agli occhi in cui si aggirano sagome vibranti di luce. Sono le anime degli Innamorati Eterni e palpitano a coppie, trovando l'una nell'altra le ragioni del proprio splendore.

- Chiara Gamberale e Massimo Gramellini, Avrò cura di te

venerdì 26 dicembre 2014

Storie d'amore

Anaïs, sei stata tu a dare il via allo scorrere della linfa. Non sono più responsabile di ciò che dico e che faccio. Ascolta, riceverai la lettera e forse ne resterai delusa. È un così piccolo frammento di quello che avrei da dirti, e ancora mi manca il coraggio che dovrei avere. Perché, accidenti, perché? Tu mi hai dato il permesso. Ma te l’aspetti tutto quello che ho da dirti? Mi hai letto tutti i tuoi appunti – sì, sì c’è differenza fra ciò che dico e ciò che faccio, diciamo che c’era. Anaïs, vengo di continuo interrotto. Cercherò di continuare a casa. La gente intorno si incuriosisce del fatto che molto spesso io sia qui intento a scrivere. Pensano che io sia uno che va in cerca di punizioni. Mi chiedono perché non me ne vado a casa. Anaïs, potrei restare qui tutta la notte a scriverti. Ti ho continuamente davanti agli occhi, il capo chino, le lunghe ciglia abbassate. E mi sento umilissimo. Non capisco perché tu abbia dovuto scegliere me, non riesco a venirne a capo. Ma non ho voglia di andare troppo a fondo. Mi hai messo il fuoco dentro e adesso non potrò più essere quello che ero, semplicemente tuo amico. Ma sono mai stato soltanto tale? Ho l’impressione che fin dal primissimo inizio, da quando ho aperto l’uscio e mi hai porto sorridendo la mano, io sono rimasto preso, ero tuo. Anche June l’ha avvertito. Ha detto subito che eri innamorata di me o che io lo ero di te. Ma per quanto mi riguardava non ignoravo che fosse amore. Parlavo di te con calore, senza riserve. Henry
Henry Miller a Anaïs Nin


Renato Guttuso


"La pittura è il mio mestiere. Cioè è il mio mestiere ed il mio modo di avere rapporto con il mondo. Vorrei essere appassionato e semplice, audace e non esagerato. Vorrei arrivare alla totale libertà in arte, libertà che, come nella vita, consiste nella verità".
Renato Guttuso


mercoledì 24 dicembre 2014

Natale - Erri De Luca

Natale - Erri De Luca

Nascerà in una stiva tra viaggiatori clandestini.
Lo scalderà il vapore della sala macchine.
Lo cullerà il rollio del mare di traverso.
Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una
fortuna,
suo padre l’angelo di un’ora, 
molte paternità bastano a questo. 
In terraferma l’avrebbero deposto 
nel cassonetto di nettezza urbana. 
Staccheranno coi denti la corda d’ombelico. 
Lo getteranno al mare, alla misericordia.

Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri.
Lo possiamo aspettare, abbracciare no.
Nascere è solo un fiato d’aria guasta. Non c’è mondo
per lui.
Niente della sua vita è una parabola. 
Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell’infanzia, 
poi i chiodi nella carne. 
Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei 
che non hanno portato manco un vestito e un nome 
i marinai li chiamano Gesù. 
Perché nascono in viaggio, senza arrivo.

Nasce nelle stive dei clandestini,
resta meno di un’ora di dicembre.
Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri.
Nasce in mezzo a una strage di bambini.
Nasce per tradizione, per necessità,
con la stessa pazienza anniversaria.
Però non sopravvive più, non vuole.
Perché vivere ha già vissuto, e dire ha detto.
Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi delle
tempie.
Sta con quelli che vivono il tempo di nascere. 
Va con quelli che durano un’ora.
Erri De Luca - Opera sull’acqua - Einaud

Natale degli spalatori di neve, Jacques Prevert

Quando cade a Natale)
I nostri camini sono vuoti
le nostre tasche rivoltate
ohè ohè ohè
i nostri camini sono vuoti
le nostre scarpe bucate
ohè ohè ohè
e i nostri figli lividi
sono a pancia vuota
ohè ohè ohè
Eppure è Natale
Natale che bisogna festeggiare
Festeggiamo festeggiamo il Natale
lo si fa ogni anno
Ohè la vita è bella
Ohè felice Natale
Ma ecco la neve che cade
che cade così dall'alto
Si farà certo male
cadendo così dall'alto
ohè ohè èho
Povera neve novella
corriamo corriamo verso quella
corriamo con le nostre pale
corriamo a raccoglierla
perchè questo è il nostro mestiere
ohè ohè ohè
Graziosa neve novella
tu che arrivi dal cielo
dicci dicci o bella
ohè ohè ohè
Quando a Natale 
cadranno di lassù
i tacchini di Natale
con i loro piccoli
ohè ohè èho!

Una lettera- racconto di Elsa Morante

Roma 21 dicembre 1971

Caro Goffredo

con questa mia lettera ti mando i miei auguri di Natale e Anno Nuovo, e ti racconto, per l’occasione, un fatto vero (vero almeno in parte, e fino a un certo punto).

Avvenne più di 50 anni fa, nel periodo delle feste (credo che fossero proprio le feste natalizie). In un  collegio di preti (o frati) una diecina di ragazzetti erano costretti, per motivi di famiglia, a passare le feste dentro. Il pranzo della festa principale (giorno di Natale) fu – relativamente – lauto. la lista era: Fettuccine – Abbacchio con patate – 1 pera. Alla fine viene però portasta a tavola una magnifica torta (zuppa inglese) del diametro di almeno 45 cm.
Si alza il Priore e dice: “Figlioli, in questo santo giorno vi invito a pensare a tanti poveri bambini che non hanno nemmeno il pane: e nel pensiero di questi poverelli vi invito a offrire un fioretto a Gesù. A ciascuno dei presenti qui raccolti a questa tavola tocca, o toccherebbe, una fetta della torta che qui vedete. Ebbene, ecco la mia proposta: rinunciare alla propria fetta di torta, offrendola come fioretto a Gesù. Tutti i bambini buoni che sono d’accordo su questo fioretto, adesso si alzeranno da tavola. Va bene?”.

Tutti rispondono compunti: "Sì, padre". E si alzano. Tutti meno uno, un certo Egidio che non risponde e non si alza. A trattenerlo sulla sedia è una sensazione strana: gli sembra che quel fioretto puzzi.

“Egidio! Non hai sentito? E perché tu non ti alzi? Tutti i bambini buoni si sono alzati. E tu?”.

Egidio si fa rosso, e non trova altra risposta: “Io sono cattivo”.

“Ah”, fa il Priore amareggiatissimo. E sia pure controvoglia, è costretto a tagliare una fetta di torta e metterla nel piatto di Egidio. Il quale rimane solo a tavola con la sua fetta di zuppa inglese.
Il peggio è che, tra tutti i dolci, proprio la zuppa inglese non gli piace. Ne mangia un pezzetto, ma non gli va. In quel momento vede, dietro la vetrata del refettorio, un cagnaccio di nessuno che fissa il suo piatto con ingordigia. Tanto per finirla, gli dà il resto della sua torta. Il cane l’ha divorata in un lampo.

Exit Egidio. Rientra il Priore. E guarda quella torta non più intera, cioè mancante di una fetta, che gli urta doppiamente i nervi. Primo motivo: perché è simbolo materiale che nel suo gregge c’è una pecorella smarrita, un individualista anzi un aristocratico e, diciamolo pure, un reazionario: EGIDIO! E secondo motivo: per ragioni politiche, giacché, come spesso succede, dietro a quel fioretto collettivo si nascondeva anche una politica; cioè il Priore si riprometteva di offrire quella torta, rinunciata dai ragazzi, alla potentissima, grassissima e ghiottissima badessa di un convento del circondario, la quale giustamente gliene avrebbe reso merito…
Ma adesso che la torta non è più intera, mancando di uno spicchio, decentemente non può offrirgliela più. E quanto a lui stesso, per colmo di rabbia, lui soffre di diabete… anzi, alle altre sue rabbie, si aggiungeva un po’ di invidia per Egidio che col suo stomacuccio fresco, ha gustato il sapore dello zucchero… In poche parole: quella torta gli è divenuta odiosa al punto che quasi quasi la butterebbe nel cesso!
In quel momento il caso vuole che passi di là il piccolo spazzacamino del convento (1), che viene in questo giorno a riscuotere i propri crediti (il Priore è di solito un tardo pagatore) i quali ammontano in tutto (lavoro di tutto l’inverno) a L.2,45 (si tratta di 50 anni fa). Seccato, il Priore gli molla, all’uso solito, un acconto di L.0,50 dicendo: "Ripassa quest’altr’anno per il resto". In quel momento gli ricasca sotto gli occhi la maledetta torta, e per liberarsene, la mette tra le braccia del piccolo spazzacamino: “To’, portatela via e togliti subito dai piedi”. Lo spazzacamino scappa via, e se la va a mangiare con i suoi compagnucci spazzacamini. Fine.

MORALE:

Le vie del signore sono infinite

oppure

Tutte le strade portano a Roma.

Non so. La storia, a ogni modo è (fino ad un certo punto) vera. Non ti ho raccontato una balla. Avvenne più di 50 anni fa (esattamente, se non mi sbaglio, 53 o 54 anni fa).


(1)  N.B. (al posto dello spazzacamino, forse c’era il garzone del lattaio – o altro sotto-proletario minorenne)

Elsa